L’espressione “impresentabili”, applicata al momento elettorale, è nata alcuni anni or sono per descrivere un aspetto specifico della “partitocrazia senza partiti” – l’espressione è di Miriam Mafai – che ha operato nella cosiddetta Seconda Repubblica. Ovvero la farcitura delle liste elettorali di persone molto discusse, indagati, condannati, perfino in qualche caso sottoposte a misure restrittive della libertà personale (e ciononostante candidati ed eletti), da un lato; e dei trasformismi più beceri, sempre all’insegna della salita sul carro del (probabile) vincitore, dall’altro.
L’indignazione ormai permanente dell’opinione pubblica italiana non è stata sufficiente neanche a questo giro a far cambiare verso alla giostra. La Campania di queste settimane è emblema di uno stato generale di cui soffrono in modo diffuso le regioni meridionali, ma che sta prendendo piede in tutt’Italia.
Mentre a livello nazionale è stato prevalente il trasfughismo parlamentare, ma non certo i cambi di fronte (la presenza di pseudo-partiti di centro, spesso personali, ne è stato il veicolo e anche l’argine) a livello locale la tendenza è diventata generalizzata a causa dell’elezione diretta dei vertici locali che li ha resi pressocchè inamovibili e dei centri di potere di assoluto rilievo. Ciò ha prodotto una personalizzazione parossistica delle campagne elettorali, e sulla base di precise logiche e di coerenti previsione normative, una responsabilizzazione del candidato presidente nella composizione delle liste, nella scelta del “recinto” coalizionale e, spesso, nell’ispirazione in prima persona di spregiudicate operazioni elettorali che di politico hanno al massimo la raccolta di voti clientelari. Le liste “civiche” a supporto dei candidati all’elezione diretta, spesso recanti anche il loro nome nei simboli, sono nate dal 1993 (rispetto al loro uso tradizionale) per apportare valore aggiunto in termini di voto di opinione ma sono ormai da tempo il “rifugio dei peccatori” apprestato con un occhio e mezzo chiuso dai candidati Presidenti (o peggio). Dove i peccatori, forti di un consenso personale di tipo clientelare, si auto-traghettano da consiliatura a consiliatura a scanso di indagini, condanne, e – semplicemente – ideali. Così il peggiore ceto politico locale si perpetua.
Bisogna dire chiaramente che questo è prezzo pagato al totem della stabilità del vertice esecutivo che è il tratto essenziale di queste forme di governo, su cui ancora oggi stranamente esiste un ampio consenso circa il presunto contributo positivo offerto alla crisi italiana. Un giudizio affrettato e superficiale. Come se l’instabilità dei vertici pre-1993 non fosse la spia di un disagio e di costumi politici che oggi trovano altri modi per ripresentarsi, comunque nuocendo alla “governabilità”.
Così si determinano puntualmente smottamenti in favore del vincitore, poi cominciano le composizioni e le ricomposizioni, infine iniziano le defezioni a scapito delprobabile perdente e a favore del nuovo cavallo di razza. Senza alcuna giustificazione che si richiami non diciamo a ideologie, ma a idealità, a programmi, a culture politiche. Fino al grottesco che il Presidente uscente del centro-sinistra nella Marche sarà il candidato del centro-destra (fenomenologia neanche così rara negli enti locali). O che nel centro -sinistra campano ci saranno dichiarati fascisti e personale politico vicino a Cosentino. E, più in generale, ai blocchi di partenza fanno bella mostra di sé ben 2 condannati e 5 imputati, per non parlare degli indagati per le questioni dei rimborsi elettorali.
Va assolutamente squarciato il velo dell’ipocrisia.
Come può un candidato-presidente affermare “non votate i miei impresentabili” se egli stesso è candidato con pesanti fardelli giudiziari in corso e condannato per reato contro la pubblica amministrazione? E come può dichiarare che nella concitazione delle ultime ore non ha potuto controllare tutti i nomi se una consimile dichiarazione l’abbiamo gia’ sentita in passato mille volte e se, in ogni caso, egli si è autocandidato prima ancora che fossero indette le primarie (senza alcuno stile) già dal mese di settembre, ovvero otto mesi fa? E se anche fosse vero, e ne dubitiamo assai, non ne porterebbe in ogni caso tutta la responsabilità e gli elettori non dovrebbero tenerlo presente? Ma del resto come avrebbe potuto – poniamo – imporre una scrittura privata a tutti i potenziali candidati, prima di accettarne la candidatura (o l’apparentamento della loro lista a quella del Pd e al proprio nome), se non dando agli altri condizioni che egli stesso non era in grado di soddisfare?
Ma la colpa non è solo di De Luca. Il quale si ritiene legittimato a questo e ad altro con il rito delle primarie.
Ma che partito è, il suo, che non si interroga sul rendimento di queste innovazioni istituzionali che tanta parte hanno avuto nella cosiddetta “seconda repubblica” e di cui le primarie all’italiana sono un perfetto corollario? Che per bocca del sempre attento e prudente Guerini dice “basta liste-fai-da te” quando la forma di governo locale e regionale consente espressamente ai candidati alle cariche monocratiche di esercitare questa prerogativa? I quali candidati si ritengono gli unici abilitati, senza alcun ricorso ad una copertura o ad un indirizzo partitico, a mettere in piedi la coalizione e il programma in quanto – dice la vulgata – rischiano in proprio e vincono o perdono in prima persona. Tanto che il segretario regionale – e dico il segretario regionale – del partito perno della coalizione, il Pd, arriva a dichiarare: non potevano “mettere veti sulle liste degli altri”. No? E allora che sono queste coalizioni pre-elettorali dove il partito della coalizione tace e subisce, non riservandosi neanche di influire sulle determinazioni del suo candidato-presidente? Quale piatto questo partito serve agli elettori?
Se tutto porta al candidato-presidente, secondo un modello di democrazia di (pura) investitura, è allora lì che il partito dovrebbe farsi sentire, in ogni fase utile e secondo i diversi mezzi di cui dispone. E allora perché è stato consentito a De Luca di partecipare alle primarie con tutto il carico problematico che poneva la sua candidatura? Perché, poi, gli è stato chiesto di farsi da parte per le medesime ragioni per cui avrebbe dovuto rimanerne fuori e poi perché infine, di fronte al suo prevedibile rifiuto, si e’ non soli accettato ineluttabilmente lo “status quo”, trincerandosi dietro il rispetto del Codice etico del Partito o di una oossibile incostituzionalita’ della legge che lo sospenderebbe dalle funzioni appena proclamato, ma si e’ preso a dire che era tutto perfetto, salvo la legge incostituzionale?
Che Codice etico e’, e di quale partito? E quale visione del “primato della politica” quando si agisce nella presunzione che la legge sia incostituzionale?
Un autorevolissimo esponente del Pd ebbe a dire (caso Paita, e parliamo sempre di regionali e di primarie) che l’indagato è “candidabile” perché l’avviso di garanzia è disposto a sua tutela. Se ne desumerebbe che tutti gli indagati siano candidabili con la benedizione del Codice Etico del partito. Lo sono, evidentemente, anche i condannati come De Luca. Magari in futuro apprenderemo che lo sono anche i colpevoli in via definitiva, ma per reati lievi o privi di coloritura politica. Che Codice etico è mai questo e soprattutto quale gruppo dirigente si affida ad un codice etico, per quanto inadeguato, invece di fare delle scelte e motivarle sul piano politico davanti agli elettori?
E che partito è un partito che può avere tutto il successo elettorale che si vuole per l’abilità del suo leader ma che governa i processi locali e comunque non adotta decisioni tempestive, consente le faide per mezzo del totem delle primarie e per di più si dota di cattive regole e finge di ignorare (anche se non tecnicamente violare) le leggi che esistono?
Sotto accusa, dunque, sono certamente lo “scambio politico” di cui è fatta la politica meridionale e le forme di governo locali e regionali che distruggono i partiti e esaltano individualità dell’imprenditore politico. Ma non solo.
Finisce infatti che tutti chiedono scusa ma non troppo e a dire che non accadrà più; tutti però a rimarcare che i veri responsabili sono altri. Per concludere come? Che saranno gli elettori che risolveranno il problema. Già, il cittadino-arbitro tanto caro ai nostri amici riformatori.
Abbiamo evidentemente due categorie di elettori. Quelli che si indignano e che vogliono fare gli arbitri imparziali tra due coalizioni che si fronteggiano in modo maschio ma corretto, e quelli che eleggono gli impresentabili.
E in mezzo il nulla o quasi.